Borsa, tanti buyback e poche ipo
di Francesco Bertolino29/03/2022 00:14

La borsa si restringe fra mancate ipo e buyback. Da inizio anno le nuove quotazioni a livello globale hanno raccolto 65 miliardi di dollari, il 70% in meno rispetto al 2021. Poche società come Technoprobe e Civitanavi hanno osato affrontare la triplice minaccia di inflazione, atteso aumento degli interessi e guerra in Ucraina. Qualcuna come Plenitude si appresta a farlo nelle prossime settimane. Molte altre come la spac Sustainable Ventures hanno rinviato l'appuntamento con gli investitori a tempi migliori. Il ritorno della volatilità sui mercati ha chiuso una finestra favorevole e riportato sulla terra i corsi di titoli in volo durante l'era pandemica e della liquidità facile. Diverse compagnie ne hanno approfittato per riacquistare azioni proprie a piene mani. Così, calcola Goldman Sachs, a Wall Street sono stati già conclusi nel 2022 buyback per 319 miliardi, somma superiore del 20% rispetto al primo trimestre 2021. Benché con numeri inferiori, molte società di Piazza Affari le hanno imitate annunciando o avviando riacquisti azionari: Stellantis, Cnh, Exor, Eni, Enel, Ferrari e via dicendo. Al maxi-buyback negli Usa hanno peraltro contribuito le solite big tech ma anche neo-quotate che nell'attuale incertezza hanno preferito utilizzare i proventi delle ipo per investire su se stesse anziché sul m&a. Una decisione forse non efficiente dal punto di vista dell'allocazione dei capitali, ma utile a sostenere i prezzi delle azioni. Un gran numero di aziende approdate in borsa nel 2021, specie se in perdita, ha infatti visto più che dimezzarsi la propria capitalizzazione in pochi mesi, scontentando molti investitori. Così, fra ipo rimandate a data da destinarsi e buyback da record, l'offerta di azioni sul mercato va riducendosi e quindi si assottiglia la loro liquidità, aumentando sì i ritorni per i soci ma al contempo incrementando l'instabilità sui mercati. Una tendenza in atto da anni ma accelerata nel 2022, che porta le società a restare private più a lungo. Se nel 1999 le aziende si quotavano in media quattro anni dopo la fondazione con una valutazione di 400 milioni, oggi l'arrivo in borsa avviene a 12 anni dall'inizio dell'attività e con una capitalizzazione di 4,3 miliardi. Il tracollo delle startup sui mercati pubblici inizia però a riverberarsi sui mercati privati. Pochi giorni fa, Instacart è stata costretta a tagliare del 40% la valutazione di 39 miliardi ottenuta nella pandemia. Secondo alcuni esperti, la società di consegne alimentari potrebbe essere il primo di una lunga serie di unicorni azzoppati da inflazione e stretta delle banche centrali. (riproduzione riservata)