Fund manager in soccorso della crescita
di Frederic Barroyer*12/06/2019 02:00
Mentre l’economia italiana subisce un rallentamento, gli stakeholder privati e pubblici si alleano per sostenere le pmi del Paese. Tutto ha inizio con il lancio dei fondi Pir nel 2017, con l’ambizione di far confluire gli ingenti risparmi del retail al servizio dell’economia reale. Il successo è stato evidente, favorito soprattutto da una tassazione agevolata e dall’andamento positivo dei mercati finanziari: circa 300 mila nuovi investitori hanno acquistato questa tipologia innovativa di fondi di investimento, spingendo le masse totali a circa 20 miliardi di euro.
Qualcuno potrebbe sostenere che questa storia di successo non sia esente da difetti. La maggior parte degli investimenti è stata in effetti riversata in blue chip italiane, in quanto la principale linea di investimento consisteva in un’esposizione minima del 70% in titoli domestici, senza condizioni di dimensioni o capitalizzazione di mercato. Questo ha portato il governo ad aggiustare il tiro, da un lato promuovendo il lancio di fondi europei di investimento a lungo termine (eltif), solitamente fondi chiusi, ideati nel 2015 per canalizzare gli investimenti nelle pmi; dall’altro in programmi infrastrutturali e in alcuni tipi di Real Estate. Un primo fondo è arrivato sul mercato all’inizio del 2019 proponendo un’esposizione superiore al 50% in azioni italiane e la possibilità di investire fino al 25% in strumenti non quotati. La recente apertura pubblica volta all’ulteriore sostegno dell’eltif attraverso un beneficio fiscale costituirebbe un ulteriore incentivo per i risparmiatori ad accettare una minore liquidità, a fronte di una maggiore stabilità delle società in cui il fondo ha investito.
La seconda scossa al settore è arrivata con la legge di Bilancio del 2019, che ha modificato le regole dei fondi pmi originali per incanalare più efficacemente denaro nelle pmi e nelle società non quotate. La prima questione che asset manager e consulenti finanziari si trovano però ora ad affrontare è l’aumento della quota di investimenti illiquidi nel patrimonio di un fondo aperto, liquido per definizione. Il secondo ostacolo riguarda invece l’ampiezza dell’universo investibile: i fondi pmi 2.0 dovranno infatti investire almeno il 3,5% delle attività in società quotate sull’Aim e un altro 3,5% in venture capital. Il pool di pmi sulle quali investire è stato recentemente stimato in 74 società, che rappresentano circa 3,5 miliardi di euro di capitalizzazione di mercato. Nonostante le ipo previste, questo pool potrebbe creare difficoltà ai portfolio manager nel rispetto delle linee guida dei fondi.
L’Aifi però ha di recente pubblicato dati molto positivi sul 2018, con l’ecosistema del private equity che ha accelerato la propria corsa, registrando investimenti record in private equity e venture capital per quasi 10 miliardi di euro, con un raddoppio degli investimenti in Venture Capital rispetto al 2017, raggiungendo 324 milioni (500 milioni in termini di impegno). La buona notizia è che gli investitori privati hanno rappresentato la gran parte dei 3,4 miliardi di sottoscrizioni nette, quota triplicata rispetto al 2017. Tra questi, i fondi pensione sono finalmente diventati i maggiori investitori, superando gli high net-worth e family office, che avevano occupato il primo posto negli ultimi anni. I fondi pensione, che rappresentano il 24% degli afflussi provenienti dal settore privato, pari a circa 660 milioni in totale, hanno peraltro un portafoglio complessivo che supera i 130 miliardi, un risultato incoraggiante.
Il governo sta al contempo lavorando a un ulteriore incentivo, il «super-ammortamento» del 130%, per promuovere ulteriormente investimenti da parte di questi fondi in venture capital. Infine le autorità pubbliche stanno mobilitando un’altra leva rappresentata dai grandi movimenti industriali attorno a Cassa Depositi e Prestiti. Mentre la Banca pubblica per gli investimenti (Bpi) va profilandosi all’orizzonte, la Cdp aumenta la propria potenza di fuoco mobilitando sinergie tra Fondo Italiano di Investimento e Invitalia, asset manager specializzati, e guidando il Fondo nazionale per l’innovazione, l’arma più recente al servizio dell’economia reale, che dovrebbe distribuire 1 miliardo di euro in startup innovative. Sarebbe stato senza dubbio più efficiente adottare a monte un approccio di co-costruzione tra autorità pubbliche e i professionisti dell’asset management, ma c’è da scommettere che entrambe le parti si accorderanno considerato che è interesse reciproco raggiungere gli obiettivi desiderati. (riproduzione riservata)
*chief executive officer
e country head di Sgss in Italia