Il caso Bio-on non deve bloccare la finanza innovativa delle pmi italiane
di Andrea Ferretti - docente Innovation Academy di Trentino Sviluppo21/11/2019 02:00

Una recente ricerca dell’Afme (Associazione Europea Mercati Finanziari) ci ha bruscamente ricordato come l’Italia sia, dati 2018, ultima in Europa per quanto riguarda l’accesso al capitale di rischio da parte delle pmi: solo 1,2 miliardi di euro di capitale raccolto a fronte di circa 180 miliardi di prestiti bancari. Il che vuol dire che il capitale di rischio costituisce solamente lo 0, 6% del flusso annuale dei finanziamenti, ben al di sotto della media europea pari al 2,60%. In realtà, la fortissima dipendenza delle nostre imprese dal canale bancario viene da lontano e deriva proprio dal fatto che, contrariamente a quanto ritenuto, il settore bancario italiano ha storicamente supportato il tessuto delle piccole-medie imprese. A questo proposito non bisognerebbe mai scordare la legge del 70 /30 che ci ricorda come i sistemi bancari mediterranei dedichino il 70% dei loro impieghi al supporto delle imprese e solo il rimanente 30% alla finanza. Esattamente il contrario di quanto fanno le banche dell’Europa centrale che tendono a invertire detta proporzione.
Il problema è che questa impostazione, in presenza di un sistema produttivo composto in massima parte da pmi, ha generato un paradosso tutto italiano. Infatti, le nostre imprese, proprio perché di massima hanno sempre potuto contare sul supporto delle banche, non hanno mai sentito un’impellente necessità di creare canali che fossero alternativi o complementari alla fonte bancaria. Di conseguenza, contrariamente a quanto avvenuto all’estero, gli imprenditori hanno iniettato poco capitale nelle proprie aziende e non si è mai costituito un vero mercato dei bond corporate generalmente riservato a uno sparuto gruppetto di aziende quotate. Progressivamente, però, le nostre pmi si sono trovate sempre più strette in una morsa. Da una parte la crisi ultra decennale e, dall’altra, gli Accordi di Basilea che hanno spinto le banche verso un credito più oggettivo delimitato da sistemi di rating interni sempre più sofisticati. Dunque, quantomeno le pmi in rapida crescita e maggiormente innovative, si trovano oggi al centro di un complesso sistema di forze contrapposte: da un lato le forze che spingono verso il tradizionale canale bancario reso particolarmente appetibile dai tassi contenutissimi voluti dalla Bce. Dall’altro, forze che spingono queste stesse aziende a crescere utilizzando canali finanziari più innovativi quali, per esempio, l’emissione di Minibond o la quotazione in un mercato adatto alle esigenze delle piccole medie imprese come l’Aim. Tuttavia, in realtà, l’imprenditore non deve affatto effettuare una scelta aut aut, visto che le due fonti di approvvigionamento possono tranquillamente coesistere senza salti nel buio. Anzi, a ben vedere, la fonte innovativa tende a contagiare positivamente il rapporto tradizionale banca-impresa rendendolo più solido e trasparente. Per esempio, la pmi che decidesse di intraprendere un percorso volto all’emissione di minibond o alla quotazione all’Aim dovrebbe necessariamente organizzarsi per individuare, elaborare e comunicare tutto un insieme di dati aziendali prima non lavorati o comunque tenuti riservati. Il punto è che tutto questo lavoro non solo fa crescere internamente l’azienda, ma rafforza anche il rapporto con la banca perché consente a quest’ultima di conoscere l’azienda. Per esempio, la vigilanza spinge sempre di più gli istituti a non fermarsi all’esame dei bilanci delle imprese, ma a guardare avanti attraverso l’elaborazione di flussi di cassa prospettici. Lo scopo è quello di valutare la reale capacità dell’azienda di sostenere prospetticamente il servizio del debito senza generare pericolose tensioni di cassa. Ora, è evidente che se si inizia a guardare avanti e non più nello specchietto retrovisore, le informazioni sui programmi di investimento dell’azienda, sul suo piano industriale, sulle ricadute finanziarie diventano fondamentali.
In quest’ottica, l’impresa si abitua a preparare business plan più puntuali e attendibili e la banca, da parte sua, affina la sua capacità di valutarli correttamente superando la tentazione di fare tagli lineari alle previsioni aziendali. La conoscenza diventa dunque fattore strategico fondamentale. Senza trascurare che anche il rating dell’azienda può migliorare nel medio periodo in presenza di una apertura alla finanza innovativa. Per esempio, un maggior equilibrio delle fonti ottenuto grazie alla rimodulazione tra l’indebitamento a breve e l’emissione di un minibond a 3/4 anni, può influire positivamente sul rating con benefici per l’azienda in termini di accesso al credito, migliori condizioni, accessibilità a prodotti più sofisticati. Ciò detto, bisogna oggi evitare che il caso del default Bio-On che ha scosso l’Aim blocchi questo processo. Alcuni controlli e alcuni ruoli potranno essere ridefiniti e resi più efficaci, tuttavia, se si vuole che le nostre migliori pmi restino competitive, non si può marchiare a fuoco tutta la finanza innovativa con la dicitura hic sunt leones. (riproduzione riservata)