Perchè l'Eltif non piace?
di Marco Capponi02/10/2021 00:14

La costruzione di un ponte tra investimenti ed economia reale è la missione che il presidente di Assogestioni Tommaso Corcos ha messo in cima all'agenda dell'industria del risparmio. Nella cassetta degli attrezzi uno strumento esiste già: gli Eltif. Introdotti in Italia nel 2018, questi fondi chiusi permettono di investire in strumenti azionari o bond di pmi non quotate o quotate a bassa capitalizzazione, sfruttando i benefici fiscali dei Pir Alternativi se si rispettano alcuni parametri (su tutti la detenzione per almeno cinque anni). Intermonte ha stimato che il mercato dei Pir Alternativi, quasi coincidente con quello degli Eltif, mostrerà afflussi pari a 1,5 miliardi di euro nel 2021 e 1,8 l'anno prossimo, i quali, sommati ai 300 milioni del 2020, porteranno le masse totali a 3,6 miliardi. Valore analogo a quello calcolato da MF-Milano Finanza stimando una raccolta media tra i 130 e i 150 milioni per gli oltre 25 Eltif collocati sul mercato italiano (si veda la tabella), ascrivibili a circa 15 operatori, dalle principali sgr nazionali a colossi globali del calibro di BlacRock, che ha sviluppato due prodotti di questo tipo per gli investitori tricolori. Tra gli ultimi, Credem Private Equity ha terminato il collocamento del suo Eltifplus raccogliendo oltre 130 milioni. «Le ricadute sull'economia reale sono importanti», commenta Andrea Randone, head of mid-small cap research di Intermonte. «Le 25 ipo lanciate in Italia da inizio anno sono state tutte di società a bassa capitalizzazione e, secondo Bankitalia, il Paese ha almeno 2 mila aziende che potrebbero arrivare in borsa: è un percorso in cui i Pir Alternativi possono giocare un ruolo, pre e post quotazione». Per Massimo Trabattoni, head of Italian equity di Kairos, «questi fondi possono guadagnare uno spazio importante sul mercato rispondendo alle necessità degli investitori di medio-lungo termine, ancora un po' assenti nell'industria italiana del risparmio». Mentre da Partners Group (collocatore di tre strategie Eltif) Raniero Proietti (head of client solutions Southern Europe, France & Israel) ed Enrico Pinelli (member of management client solutions Europe) spiegano che il punto di forza di tali strumenti è «garantire l'accesso alle asset class illiquide anche alla clientela non necessariamente professionale e non ai soli investitori istituzionali e family office più grandi». Infatti, guardando le soglie d'accesso per il mercato retail italiano, emerge che l'investimento minimo medio è 34 mila euro, ma la mediana, che depura il dato di alcuni casi-limite, si colloca a 11 mila euro: un tetto abbordabile. «La soglia d'accesso inferiore rispetto ad altri fondi chiusi», commenta Sergio Zocchi, ceo di October Italia, «genera interesse nei gestori italiani, che tradizionalmente operano su un singolo Paese, per allargare il bacino dei clienti».
Tutto sta andando per il meglio quindi? Non proprio. La raccolta degli Eltif fa fatica a decollare, gli investitori facoltosi restano reticenti e il mercato sembra più interessato ad altri strumenti, come i classici Pir, che sembrano tornati in auge. Emblematiche le parole del dg del Tesoro Alessandro Rivera: «Per favorire l'arrivo di liquidità all'economia reale sono stati creati gli Eltif, che però non hanno funzionato. L'idea è capire come renderli più funzionali». La prima criticità segnalata dagli operatori è relativa al rischio di questi asset illiquidi. Pierluigi Giverso, vicedirettore generale di Anima sgr, spiega che «strumenti chiusi e con orizzonti di investimento lunghi vengono classificati per normativa come prodotti complessi: un freno per la proposizione commerciale e per gli investitori retail, anche per i tipici clienti del private banking». Un ulteriore limite viene riscontrato nei paletti all'allocazione: «Vediamo come poco funzionale», lamenta Alessandra Manuli, ad di Hedge Invest Sgr, «la scelta di porre il tetto al 10% della ricchezza liquida del cliente mono-intestatario, in aggiunta al fatto che i benefici fiscali cumulabili a 1,5 milioni sono da spalmare in allocazioni annue da 300 mila euro». Un tema su cui si sta battendo anche l'Associazione Italiana Private Banking (Aipb): secondo il segretario generale Antonella Massari, «nel contesto di fondi chiusi sarebbe opportuno chiarire che l'importo si considera versato in quote annuali uguali durante tutto il periodo d'investimento, a prescindere dai momenti di richiamo e versamento effettivo: in tal modo si eviterebbe di dare un peso eccessivo al momento in cui il gestore richiama le somme, scongiurando effetti distorsivi e garantendo lo sfruttamento dell'intero plafond da 1,5 milioni».
Infine i gestori segnalano una scarsa cultura sul tema da parte degli investitori. Giorgio Medda, ad e global head of asset management del gruppo Azimut (attivo nel mercato con ben cinque Eltif), ricorda che «si tratta di strumenti recenti, istituiti solo nel 2015 a livello comunitario, e per questo ancora poco conosciuti».
Come uscirne? Per i money manager, ferme restando le potenzialità degli Eltif, si potrebbe lavorare sulle soglie. «Un innalzamento da 500 milioni a 1 miliardo per la attività investibili», argomenta Nicola Morelli, direttore generale di 8a+ Investimenti Sgr (partecipata da Banca Generali), «amplierebbe l'universo delle aziende finanziabili tramite Eltif». Inoltre, aggiunge, «dovrebbero essere previsti meccanismi per chiedere rimborsi prima della fine della durata del fondo». Marco Avanzo-Barbieri, head of client group Italy di Neuberger Berman, chiede inoltre «uno sforzo per creare allineamento tra mercati quotati e non quotati: è paradossale che per accedere a un Eltif servano molti più tasselli che per un fondo azionario, il quale magari ha una volatilità del 10-15%».
Anche gli strumenti di investimento possono essere razionalizzati. Rosario Rufini, responsabile private equity di Equita Capital sgr, auspica che «gli Eltif possano svolgere liberamente l'attività di fondo di fondi ampliando la possibilità di investire sia direttamente sia tramite altri fondi». Si tratta di un modo, gli fa eco la presidente di Muzinich & Co. sgr Filomena Cocco, «per aiutare la strutturazione di strategie illiquide diversificate» che andrebbe associato a un chiarimento sull'opportunità di «vendere alla clientela europea strategie che includono anche asset non europei, su cui resta un'ambiguità di fondo». Massimo Mazzini, responsabile marketing e sviluppo commerciale di Eurizon (gruppo Intesa Sanpaolo), guarda oltre, augurandosi «la rimozione della limitazione dell'investimento in fondi chiusi, l'innalzamento del limite di investimento in un singolo Fia dal 10% al 20% e l'aumento al 40% del limite di investimento in attività liquide Ucits».
Un altro tema-chiave è la scelta delle società. «Nel nostro caso», ricorda Paolo Proli, head of retail distribution di Amundi sgr, «ci siamo focalizzati sulle eccellenze agroalimentari italiane, che si sono dimostrate resilienti anche nel periodo dell'emergenza Covid: si tratta di un investimento che i risparmiatori possono comprendere e sostenere anche in ottica di rilancio dell'economia italiana». Infine una proposta arriva da Daniele Colantonio, partner di Anthilia Capital Partners, per correlare gli Eltif alla previdenza integrativa (altro settore da rilanciare in Italia): «Questi prodotti andrebbero associati a una logica multi-generazionale e previdenziale: gli Eltif sono uno strumento perfetto di integrazione al reddito e fiscalmente più conveniente rispetto ad altri prodotti finanziari d'investimento». (riproduzione riservata)