Pmi, i quattro driver della crescita in Italia e nel mondo
di Alessandro Dragonetti*13/06/2019 08:30
La strategicità delle pmi nel contesto italiano presenta significative analogie con quanto accade a livello mondiale. In base a studi e ricerche effettuati sia a livello domestico che internazionale, è oramai condivisa la previsione secondo cui il comparto presenta tassi di crescita potenziale più interessanti rispetto a quelli delle società di grandi dimensioni. Secondo un report dell’Economist, il tasso di crescita del middle market nel periodo 2017-2022 è stimato al 4,7% e superiore dello 0,9% rispetto alla corrispondente stima per il comparto delle large companies. I fattori determinanti per la crescita delle pmi sono riassumibili in: tecnologia, ricerca e sviluppo e innovazione; flessibilità, adattabilità e resilienza; accesso a un mercato globale (di beni, servizi e risorse umane e finanziarie) e ricorso all’m&a. Non tutti i settori ovviamente contribuiranno in egual misura, a livello globale, alla crescita. Il settore industriale dovrebbe essere il più performante, seguito dal tecnologico (compresi media e tlc), dall’healthcare, dai servizi e dai prodotti di consumo.
Se esaminiamo il mercato italiano, si rileva innanzitutto che l’incidenza del numero delle pmi rispetto al numero complessivo delle società iscritte al Registro delle Imprese corrisponde al 99,9% (fonte: Sba 2018). Considerando il numero di addetti delle imprese appartenenti al comparto, l’incidenza sul totale scende al 78,5%. A tale riguardo (si veda il Rapporto Cerved pmi) si osserva a livello storico una tendenziale crescita delle imprese: i ricavi sono infatti aumentati del 5,3% mentre il valore aggiunto del 4,5%. Ciò premesso, è interessante valutare se i quattro driver identificati a livello globale lo siano anche a livello nazionale.
Al netto di un quadro macroeconomico di riferimento che sia a livello internazionale (incertezze derivanti dalla politica commerciale americana, Brexit, incertezza sui tassi di interesse) sia domestico (incertezze in primis connesse alla sfiducia dei mercati sulla tenuta dei conti pubblici) non si può certo dire favorevole alla crescita. Ma detto ciò, appare subito evidente che tecnologia, ricerca e sviluppo e innovazione rappresentano un indubbio vantaggio competitivo, in parte altresì supportato da provvedimenti legislativi finalizzati a incentivare lo sviluppo delle pmi con propensione all’innovazione (basti ricordare la normativa a favore di pmi e start-up innovative ex Legge 221/2012 e successive modifiche e integrazioni), con benefici previsti sia per gli imprenditori (accesso agevolato al mercato dei capitali, aliquote di ammortamento agevolate, incentivi fiscali e crediti d’imposta) si per i dipendenti e collaboratori (piani di stock options incentivati) sia per gli investitori (deduzione fiscale degli investimenti).
Il fattore «flessibilità» rappresenta certamente un aspetto determinante anche per la crescita delle pmi italiane, che hanno dimostrato in più occasioni capacità di adattarsi prontamente e con successo alle mutevoli condizioni di mercato, reagendo più velocemente delle grandi organizzazioni, ma al tempo stesso hanno saputo coniugare tale caratteristica con una maggior struttura e capacità di perseverare nelle strategie prescelte rispetto alle organizzazioni di dimensioni più modeste. Così come a livello globale, anche le pmi italiane con «vocazione internazionale» presentano un potenziale di crescita superiore, coeteris paribus, rispetto alle altre. Dal 2010 al 2017 hanno realizzato una crescita cumulata del valore aggiunto superiore di ben 17 punti (22% contro 5%).
La rilevanza di tale requisito nel percorso di crescita delle pmi italiane è evidente, perché consente un accesso a mercati di dimensioni maggiori per prodotti e servizi, una più efficiente raccolta dei capitali e una maggiore attrattività di risorse umane qualificate. Altrettanto evidente, infine, è la correlazione tra crescita e m&a. Esistono peraltro alcuni parametri determinanti nell’agevolazione delle operazioni di m&a per questo tipo di imprese (costante crescita del fatturato, adeguato livello di redditività, idonea capacità di generare cassa eccetera). Per contro, e su questo occorrerà molto lavorare, vi sono circostanze che spesso ostacolano tale processo (per esempio, la presenza di famigliari nel management e il mancato compimento di un adeguato passaggio generazionale). A questo riguardo (come rilevato sempre dal Rapporto Cerved) il nostro sistema imprenditoriale è fortemente basato su proprietà e governance famigliari, chiuso al management esterno; circostanza, questa, che oltre a essere di ostacolo all’attività di m&a, causa una preclusione all’apertura del capitale alle quotazioni e/o agli ingressi dei fondi di private equity. (riproduzione riservata)
*Head of Tax Grant Thornton